lunedì 4 marzo 2024

"Under the UN flag": viaggio nei Balcani Occidentali 2024

Nel luglio 1995, si è consumato - da parte dell'esercito serbo-bosniaco – il genocidio della popolazione musulmana di Srebrenica, con oltre 8.000 vittime in gran parte di sesso maschile. Una tragedia avvenuta sotto gli occhi dei caschi blu olandesi incaricati dalla Nazioni Unite di garantirne la protezione. Il genocidio di Srebrenica ha rappresentato il tragico esito di una guerra, che la comunità internazionale non ha saputo evitare.

"Under the UN flag" è proprio il titolo del libro di Hasan Nuhanovic pubblicato nel 2007 in cui l'autore racconta l'esperienza, vissuta in diretta, di quel crimine di guerra, dichiarato genocidio nel 2001.

Questo titolo guiderà i pensieri, gli incontri, le azioni del viaggio 2024.

Ricordare quel fallimento della comunità internazionale ci richiama ad una analogia con il presente ancora segnato da ingiustizie, guerre, tragedie, massacri, genocidi. Ancora oggi le Nazioni Unite falliscono nel loro compito di mantenere la pace e garantire la sicurezza dei popoli.

Programma indicativo, dal 23 al 29 giugno

23/06. Partenza da Mestre, tappa presso il campo di Jasenovac e arrivo a Belgrado / pernotto a Belgrado
24/06. Belgrado / pernotto a Belgrado
25/06. Da Belgrado a Srebrenica / tour app Srebrenica 2.0 / pernotto a Srebrenica
26/06. Srebrenica / Memoriale Potočari / incontro con associazione Adopt Srebrenica / pernotto a Srebrenica
27/06. Da Srebrenica (tappa Bratunac) a Tuzla / visita al cento di identificazione (ICMP-PIP) / pernotto a Tuzla
28/06. Tuzla / incontri con Zijo, Ajna, Nihad e Senad / pernotto a Tuzla
29/06. Viaggio di ritorno da Tuzla a Mestre (arrivo in tarda serata)

Quota di partecipazione

La quota include sistemazione per 6 notti mezza pensione, pullman, accompagnamento, contributi per associazioni locali e testimoni, ticket ingresso per musei (resta escluso un pasto al giorno a carico dei partecipanti): 500€/persona. Per volontari/e del servizio civile la quota è di 350€/persona

Per prenotare è necessario:

1. effettuare bonifico di 200euro come acconto sul conto dell'associazione entro il 30 aprile (IBAN: IT07Y0760102000001015785288)
2. inviare copia bonifico a: buongiorno.bosnia@gmail.com
3. completare il seguente form: https://forms.gle/kVjtu56TB1B7bg3e9

Per informazioni: buongiorno.bosnia@gmail.com






mercoledì 26 aprile 2023

“E dopo? Una domanda lunga 30 anni”. Viaggio in Bosnia-Erzegovina, dal 25 giugno al 2 luglio 2023

Programma

Partenza domenica 25.06, partenza da Mestre ore 21.00

Lunedì 26.06

- arrivo a Sarajevo

- visita del centro storico

- visita al War Childhood Museum

Martedì 27.06

- visita del Tunel Spasa / incontro con Adnan Hasanbegović 

- visita del Istorijski Muzej

- incontro con Ajna Jusić – Ass.ne Forgotten Children of War

Mercoledì 28.06

- trasferimento in pullman da Sarajevo a Srebrenica 

- tour app Srebrenica 2.0 // in pullman 

- visita del Memoriale di Srebrenica [Potočari]

Giovedì 29.06

- Osmače / incontro con Muhamed Avdić 

- pranzo contadino

- incontro con ass.ne Adopt Srebrenica 

Venerdì 30.06

- trasferimento in pullman da Srebrenica a Tuzla

- tappa a cimitero di Bratunac 

- tappa a Zvornik con Zijo Ribić

- visita al cento di identificazione (ICMP-PIP)

 Sabato 01.07

- visita del centro storico di Tuzla 

- incontro con Nihad Suljić

- incontro con Karton Revolucija

Domenica 02.07

- partenza al mattino per rientro in italia 

- tappa e visita al campo di Jasenovac  

- arrivo alle 21.00 a Mestre


Sistemazione per 6 notti mezza pensione, pullman, accompagnamento, contributi per associazioni locali e testimoni, ticket ingresso per musei: 500€/persona

(escluso un pasto al giorno a carico dei partecipanti)

Per informazioni: Buongiorno.bosnia@gmail.com

Per prenotare è necessario

1. effettuare bonifico di 200euro come acconto sul conto dell'associazione entro il 31 maggio (IBAN: IT07Y0760102000001015785288)

2. inviare copia bonifico a: buongiorno.bosnia@gmail.com

3. completare il seguente form:

https://forms.gle/VbudsHYjrP612L1B9




mercoledì 16 marzo 2022

Proiezione film "Europa", 16 marzo 2022

 



SINOSSI

 

Il film racconta la storia di Kamal, giovane iracheno che intraprende un viaggio a piedi per provare a entrare nel continente europeo attraverso la rotta balcanica. Per riuscire nella sua impresa, il ragazzo deve oltrepassare il confine tra Turchia e Bulgaria dove viene catturato da quelle forze di polizia di frontiera che spesso si alleano alla criminalità organizzata. Dopo essere riuscito a scappare il giovane si rifugia in una foresta, e lì la sua vita si trasforma in una lotta per la sopravvivenza.

Scritto e diretto dal figlio di un immigrato iracheno e una madre italiana, racconta l'esperienza della migrazione cercando di farci provare cosa voglia dire affrontare quel viaggio, non in astratto ma nella concretezza immediata del qui e ora: come succede ogni giorno ai migranti. Haider Rashid azzera qualunque distanza fra lo spettatore e il suo protagonista gettandoci dentro un'esperienza immersiva epidermica: sentiamo il caldo, la fame, la stanchezza, e soprattutto il terrore così come li avverte il ragazzo ridotto a nutrirsi di bacche e uova trovate per caso, con la suola delle scarpe tagliata a metà e le ferite inferte dalla natura e dagli uomini. I nemici compaiono all'improvviso davanti ai suoi e ai nostri occhi, e sono nemici senza identità, corpi armati senza nome. Anche i cadaveri che incontra lungo il suo percorso appaiono a sorpresa, costanti memento mori per un ragazzo che va avanti con la sola forza della disperazione. Forse l'incontro più straniante rimane quello con una donna che carica il ragazzo in macchina parlandogli in una lingua sconosciuta e reagisce a lui con un misto di empatia e di orrore. Cinematograficamente, l'esperienza di Europa ricorda quella di Garage Olimpo o de Il figlio di Saul: un percorso a ostacoli attraverso un inferno che percepiamo con tutti i cinque sensi. È quasi un film muto, se si eccettuano i suoni del respiro affannoso del protagonista e degli spari che ogni tanto squarciano il silenzio del bosco. Il protagonista risulta credibile e suscita istantanea empatia, sia per la sua giovane età sia per la condizione di totale straniamento in cui si trova, che Rashid ci spinge a condividere attraverso una regia costantemente aderente al momento e appiccicata al suo personaggio.

Le vicende di un rifugiato lungo la rotta balcanica nel film del cineasta italo-iracheno, presentato nella Quinzaine des Réalisateurs

«Soldi! Ancora soldi o vi rimandiamo indietro!» urlano gli uomini armati. Qualcuno protesta, altri sono rassegnati. «Ancora tre ore di marcia» rispondono, contando in fretta il denaro. Lungo il confine turco-bulgaro, di notte, dove la polizia non vede, uomini e donne irachene cercano di entrare clandestinamente in Europa. Il pagamento non è risolutivo e, superato uno stretto passaggio, si scatena l’inferno. Per evitare la violenza dei colpi non si può fare altro che correre più veloce possibile, cercando riparo nella boscaglia, dietro un pietrone o in cima a un albero. Ogni pausa nasconde un pericolo, ogni ritardo un rischio mortale. I migranti corrono come impazziti lungo linee parallele, senza avere neppure il tempo di scambiarsi uno sguardo. Il nemico è invisibile, ma la sua presenza incombente. Anche voltarsi può essere fatale, da dietro arrivano urla, il suono secco delle fucilate, gli schianti dei corpi. Correre è l’unica cosa da fare.

QUANDO la luce del giorno rende la situazione più chiara ma non meno angosciosa, Kamal, che nella prima inquadratura aveva guardato con speranza alla luna, cerca di nutrirsi e di tamponare le ferite, ma è un breve sollievo. La caccia non è finita e deve ricominciare a correre. Il bosco è fitto, ma gli uomini armati sono organizzati, non fanno prigionieri, vogliono uccidere. Il rifugio che Kamal ha scelto, lungo l’ansa del torrente, si rivela meno sicuro del previsto, l’uomo con il volto coperto è ormai troppo vicino: correre non è più possibile e Kamal lo affronta in una lotta disperata. La spunta e può ricominciare a fuggire, risale una scarpata, raggiunge una strada, vede un’automobile che si avvicina. La corsa non è finita.

FOCALIZZATO strettamente sul suo protagonista, Europa trasporta lo spettatore sulla scena minimizzando le mediazioni. Si vede e si sente quello che Kamal vede e sente. Nessuna informazione aggiuntiva ci permette di avvantaggiarci nei suoi confronti e anzi, la condivisione della percezione per tutti i 71 minuti del film fa sì che l’identificazione con i clandestini sia totalizzante. Se Kamal non ha alternative alla corsa a perdifiato, chi lo osserva non può staccare lo sguardo da lui. I primissimi piani con cui il protagonista viene filmato limitano fortemente la visione d’insieme allo spettatore che non può neppure ipotizzare soluzioni diverse da quelle adottate da Kamal. L’unica risposta possibile alla domanda «cosa farei se mi trovassi in quella situazione?» è quella che offre Kamal. Il dispositivo narrativo organizzato dal regista Haider Rashid, che negli ultimi anni ha lavorato con il «360» e la “realtà virtuale”, rende la partecipazione dello spettatore ai destini del protagonista un fatto strutturale e non ideologico.

Stiamo dalla parte di Kamal non perché commossi dalla sua condizione o perché convinti assertori dell’inclusione, ma perché non ci sono altre parti dove stare. E l’unica che c’è è decisamente scomoda. Europa mostra su un piano elementare cosa significhi essere posto in una condizione di minorità. Oggettivamente autoritario ma mai ricattatorio, non indugia in sentimentalismi e non si preoccupa di trovare ragioni al comportamento delle milizie di assassini nazionalisti che fanno il tiro a segno con i clandestini: come nel cinema classico americano, il nemico non ha volto, se non quando diventa cadavere.

Un film semplice ed efficacissimo, memore di Walter Hill e immerso nelle tecniche contemporanee dell’audiovisione, un’altra bella scoperta nell’ottima selezione della Quinzaine des Réalisateurs.

 


IL COMMENTO DELLE ASSOCIAZIONI PROMOTRICI

 

“Troppo spesso perdiamo rapidamente memoria delle tragedie, anche quelle che avvengono alle porte di case. Grande commozione e empatia al momento in cui accade il disastro, sia esso la presa del potere da parte dei talebani o il naufragio di una carretta del mare o un bambino che muore di freddo e di fame e, quando la notizia passa dalla prima pagina dei giornali a qualche trafiletto in settima o ottava, ci si dimentica di tutto. I migranti, intanto, continuano a fuggire dalle guerre, dalla carestia, dalle violenze e sulla loro pelle vivono respingimenti, nuove violenze, fame, freddo, nessun diritto e nessuna reale pietà. Ricordare, anche attraverso questo film che già nel titolo ci richiama al rispetto dei principi che stanno alla base dell’Europa, è un obbligo a cui non possiamo sottrarci”.

(Emergency Venezia)

 

“Europa è un verso, una direzione. È la direzione che spinge persone, famiglie a mettersi in cammino, spesso per ricongiungersi oggi ad altre persone o pezzi di comunità che si sono spostate con migrazioni in anni precedenti.

Ma dobbiamo interrogarci non solo sulle persone che cercano di entrare in Europa ma anche su chi alla fine ci è arrivato: non dimentichiamo che questo “negare l'altro” non avviene solo alle frontiere più lontane ma anche a casa nostra, nelle questure dove si creano delle barriere che sono delle vere e proprie frontiere, dove vengono respinte non solo le domande di asilo ma proprio le persone che non possono entrare per presentare la loro richiesta. Queste “frontiere”, questi “dispositivi” lasciano le persone senza documenti, amministrativamente irregolari sul nostro territorio e quindi passibili di arresto, di espulsione, di detenzione con il rischio di ricominciare il giro. Abbiamo visto con i nostri occhi tante volte tornare indietro persone che vengono respinte a catena da Italia o Austria verso la Slovenia e poi verso la Croazia e poi di nuovo in Bosnia o in Serbia. Succede anche dall'Ungheria o dalla Romania verso la Serbia. Lì dove c’è il famoso muro di Orban - che però non ricopre proprio tutto il confine - soprattutto lungo i fiumi, si formano le aree di informalità, a 20 ° sottozero, dove si creano squat e jungle, tendopoli vissute da famiglie di siriani o di afghani che aspettano il loro turno per cercare di passare al di là. I racconti che stiamo sentendo, purtroppo da anni e in tutte le varie frontiere, parlano di pestaggi, respingimenti, ruberie da parte delle polizie. I campi dove vengono confinati sono campi finanziati dall'Unione Europea dove le persone sono trattenute in condizioni assolutamente non accettabili.  

Parafrasando chi dice che l’ambientalismo senza critica al capitalismo è giardinaggio potremmo dire che oggi parlare di migrazioni e di diritti dei migranti senza mettere in discussione il modello capitalistico (che sopravvive proprio grazie allo sfruttamento di chi si trova in condizioni di vulnerabilità) è parlare di viaggi dell’Alpitour. Ma chi oggi si mette in viaggio sono donne e uomini che rischiano le proprie esistenze.

Perciò come europei abbiamo un nuovo bisogno di autodeterminarci perché c’è il rischio di cancellare dall'identità europea alcuni dei valori alla base della sua costituzione, come l'antifascismo, che ci hanno donato l'Europa in cui viviamo e in cui tutti crediamo. Una Europa dei diritti per la quale dobbiamo continuare a batterci tutti”. 

(Lungo la rotta balcanica)

 

“Dobbiamo essere molto chiari: le persone che vivono una condizione di vulnerabilità e che stanno alle porte dell’Europa, ai nostri confini devono essere una nostra priorità. Le loro condizioni di vita e il loro sacrosanto diritto di poter partire, di poter decidere dove vivere, dove restare è una libertà di scelta che deve essere la premessa di qualsiasi nostro ragionamento”.

(Mediterranea Saving Humans)

 

La storia raccontata in questo film è l’esperienza di una singola persona ma diventa subito universale, paradigmatica di un contesto più ampio. Come Kamal ci sono migliaia di persone che cercano di entrare in Europa, ci sono milioni di persone che in questo mondo sono costrette ad andarsene, a cercare una vita più dignitosa, costretti a lasciare tutto. La cosa insopportabile è che non possono farlo. Il film ci costringe a porci la domanda di cosa sia l'Europa, cosa vogliamo che rappresenti. Ci obbliga a chiederci se sia accettabile chiuderci dentro a questa “fortezza”, una fortezza assai bizzarra però perché ha delle “porosità”, la sua frontiera è infatti una membrana osmotica che consente di far passare le persone quando si ha bisogno di “risorse umane” - braccia non persone - per fa girare la nostra economia ma che allo stesso tempo sa e può diventare impenetrabile e impermeabile”.

(SOS Diritti)

 

“Il nostro viaggio, come associazione, è iniziato più di 10 anni fa ed è partito dalla Bosnia Erzegovina, da Sarajevo. È iniziato nel cuore dell’Europa e da allora tutta la nostra attività e tutta la nostra riflessione gira attorno ad un unico tema, la “scommessa” che sia possibile immaginare e lavorare per costruire un mondo senza confini, barriere, un mondo dove sia possibile una reale e piena convivenza tra diversità. Ecco allora che l’Europa oggi, parafrasando le parole di Langer, muore o rinasce proprio lungo le sue frontiere, lì dove si “gioca” oggi la partita più importante per definire quella che è la nostra identità”.

(Buongiorno Bosnia)

 

“Fa impressione rileggere la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea alla luce delle immagini di questo film. Fa impressione perché appare evidente e drammatica la scollatura tra il pensiero e l’azione, tra i principi enunciati, principi di uguaglianza, di dignità, di giustizia e le pratiche messo in atto, pratiche di respingimento, di finanziamento verso regimi autoritari quando non dittatoriali, di esternalizzazione del controllo delle frontiere che consente di girarci dall’altra parte, di scaricare colpe e responsabilità su altri. L’Europa ci appare così come un’opera bellissima ma incompiuta”.

(Il Villaggio)

 

“Non possiamo certo dire che la vicenda di Kamal sia una sorpresa, una novità. Sappiamo, sappiamo tutto di quello che succede alle frontiere della nostra Europa da molti, troppi anni. Abbiamo trasformato le migrazioni in una emergenza continua, gestita con allarmismo, con proclami, usata di volta in volta dalla propaganda politica più per cercare di ottenere consenso che per volere risolvere o gestire quello che continuiamo a voler considerare e far rimanere un “problema”. La domanda che ogni volta ci assale è “cosa possiamo fare?” Perché la nostra inazione, la nostra indifferenza ci rende di fatto complici. Quello che è certo è che non ci stancheremo di informarci e informare perché conoscenza e consapevolezza sono premesse imprescindibili per qualsiasi cambiamento”.

(Gruppo In-Formazione)

 

 

LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA

 

Dal Preambolo:

 

I popoli d'Europa, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.

 

Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto.

Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

 

L'Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, nonché la libertà di stabilimento.

 

A tal fine è necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici, rendendo tali diritti più visibili in una Carta.

 

Scarica e leggi l’intera Carta: https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

·       “Conversazioni in alto mare” di Marco Aime (Autore), Riccardo Gatti, Elèuthera 2021

·       “Salvarsi insieme. Storia di una barca a vela sulla rotta dell'umanità” di Alessandra Sciurba, Ponte alle Grazie 2020

·       “Bosnia: l'ultima frontiera. Racconti dalla rotta balcanica” di Gabriele Proglio, Eris 2020

·       “Io sono confine” di Shahram Khosravi, Elèuthera 2019

·       “Io Khaled vendo uomini e sono innocente” di Francesca Mannocchi, Einaudi 2019

·       “Noi migranti: Per una poetica della relazione” di Paola Gandolfi, Castelvecchi 2018

·       “Lungo la rotta balcanica: Viaggio nella Storia dell’Umanità del nostro tempo” di Anna Clementi e Diego Saccora, Infinito Edizione, 2016

·       “La frontiera” di Alessandro Leogrande, Feltrinelli 2017

 

I dossier a cura della rete RiVolti ai Balcani

 

·       “La rotta balcanica. I migranti senza diritti nel cuore dell’Europa”

·       “Bosnia ed Erzegovina, la mancata accoglienza. Dall’emergenza artificiale ai campi di confinamento finanziati dall’Unione europea”

·       “Lipa, il campo dove fallisce l'Europa”

 

>> I dossier sono scaricabili gratuitamente al link: https://www.rivoltiaibalcani.org/

 

 

 

 

venerdì 26 novembre 2021

Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #8

Abbiamo incontrato per l'ultima volta il Generale Jovan Divjak a Sarajevo il 25 giugno del 2019 durante il nostro annuale viaggio in Bosnia Erzegovina nella sede dell'associazione OGBiH.

Gli abbiamo chiesto se potevamo registrare la chiacchierata, qui sotto trovate il link con la registrazione integrale (con la traduzione di Andrea Rizza)

https://www.youtube.com/watch?v=NpJVf1paubs&t=1s

venerdì 19 novembre 2021

Il nostro modo per ricordare Jovan Divjak - #7


Capitolo 27 - La pace sui banchi di scuola

D. Lei oggi dedica tutto il tuo tempo ai giovani e ha fondato l'associazione L'educa zione costruisce la Bosnia Erzegovina che si occupa degli orfani di guerra. Che tipo di attività svolge? Ha rapporti con analoghe istituzioni nella Rs?

R. Da adolescente ero stato testimone della difficile situazione degli orfani dopo la seconda guerra mondiale, e sapevo che la guerra in Bosnia sarebbe stata disastrosa per le nostre giovani generazioni. In tutto il Paese sono stati uccisi 25.000 ragazzi: 30.000 hanno perduto uno dei genitori e più di 2.000 sono diventati orfani. E per questi che ho fondato l'associazione, per fornire quel sostegno morale e materiale che permetterà loro di proseguire gli studi. In 12 anni abbiamo dato più di 24.000 borse di studio in Bosnia per un valore totale di 850.000 euro, finanziate con do nazioni o grazie a manifestazioni che organizziamo per raccogliere fondi. A questo scopo, José Van Damme si è esibito a Sarajevo, insieme all'orchestra filarmonica della città diretta dal maestro Ari Van Lysebeth. Un altro obiettivo dell'associazione è poter far partire in vacanza i nostri ragazzi, dai 14 ai 25 anni. Una delle mete più ambite è il mare croato.

Collaboriamo relativamente bene con le associazioni della RS, sebbene di tanto in tanto con alcune difficoltà. Qualche anno fa dieci piccoli serbi dovevano venire insieme a noi in Croazia. Visti e formalità burocratiche, tutto era pronto grazie agli organizzatori di entrambe le entità quando, cinque giorni prima della partenza, alcuni genitori non vollero che i loro figli partissero con i figli dei mujaheddin». Non mi scoraggio, ma quest'esempio spiega bene come sia difficile cambiare le mentalità dei genitori. Sono loro a creare problemi, mai i ragazzi. - In Republika Srpska, un'associazione con sede a Foča prepara i giovani per farli partecipare alla politica locale. Inoltre, sempre in Rs, esiste un Segretariato per la gioventù. L'idea è ottima, dato che sia su scala locale sia su quella nazionale solo il 5% dei giovani è parte attiva delle strutture amministrative. Io credo che spetti a loro decidere su problemi che li riguardano, come lo sport, l'educazione, il lavoro, e non certo a me... Spero che un'istituzione di questo tipo veda la luce anche nella Federazione, ma le autorità mi hanno detto che servirebbe far votare una legge. A me sembra che una legge non serva per creare una struttura che, invece, potrebbe farsi carico di proporne una. È la vecchia storia dell'uovo e della gallina! Allora, senza arrendersi, mi sembra il caso di andare all'attacco delle varie amministrazioni, con il sostegno di numerose ONG, per tentare di formare una struttura gestita dai giovani e per i giovani. Inoltre L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina organizza scambi con scuole francesi: i nostri ragazzi vivono con i loro coetanei francesi per 15 giorni, e così arricchiscono il loro bagaglio culturale in direzione europea e democratica. Tengo anche a che i giovani europei, ed è successo con scuole francesi e tedesche, vengano a trascorrere dei periodi qui da noi: ispirandoci alla pace ormai solida tra studenti delle due rive del Reno, anche noi possiamo sperare in nuove generazioni non più ostaggio dell'odio.

D. I bosniaci hanno oggi una bandiera, un inno nazionale e un passaporto unici. Ma le scuole e le università forniscono uno stesso insegnamento?

R. Siamo ancora lontani da questo, anche perché la decentralizzazione del nostro sistema nasconde forti divergenze. Le due Entità hanno due costituzioni e due leggi diverse sull'educazione pubblica, e in più c'è la città di Brčko, che gode di uno statuto speciale e ha norme proprie. Già questo produce tre programmi di insegnamento, o meglio quattro, perché nella Federazione la situazione degli studenti croati e bosgnacchi non è la stessa. A ciò s'aggiunga il fatto che le due entità sono divise in dieci cantoni, ognuno con proprie leggi sull'educazione. Ecco che abbiamo dieci programmi di insegnamento, più i quattro di cui sopra! Detto questo, gli orientamenti generali possono ridursi a tre, uno per comunità. Nella Republika Srpska i programmi sono simili a quelli di Belgrado, soprattutto in storia e in letteratura. Quando uno studente apre il libro di geografia, scopre che questa repubblica appartiene allo spazio geografico naturale della Jugoslavia, ora ribattezzato "Serbia". In Erzegovina occidentale, dove i croati sono in maggioranza, gli studenti imparano che la capitale della "Herceg-Bosna" è... Zagabria. Ebbene, questa regione secessionista creata durante la guerra dagli estremisti croati, che avrebbero voluto unirla alla Croazia, non ha alcuna base legale e sarebbe dovuta scomparire con gli accordi di pace. Là dove i croati o i serbi sono in maggioranza, i manuali scolastici sono ispirati a quelli in uso rispettivamente a Zagabria e a Bel grado. Invece dove a essere in maggioranza sono i bosgnacchi, i programmi sono più aperti, e anche se accordano ampio spazio alla storia e alla letteratura dell'islam bosniaco, introducono molti elementi che trattano delle comunità serba e croata. Nella Federazione, però, si contano almeno 17 città dove c'è una specie di doppio sistema, fino ai casi estremi di quelle 54 scuole - a Travnik, Mostar, Vares, etc. - in cui gli studenti croati sono separati dai bosgnacchi.

D. Però Consiglio d'Europa, Unesco, Parlamento europeo e diverse ONG sono da anni impegnate a trovare una soluzione al problema “dell’apartheid” nell'educazione. L'Alto rappresentante ha messo in piedi un coordinamento, di cui lei fa parte, per spingere le due Entità a collaborare. Dove siamo con questi tentativi?

R. A portare solo un po' più in là il masso di Sisifo... Vorrei raccontarle come si 2svolto un seminario organizzato dalla fondazione tedesca Heinrich Boll sul tema L’insegnamento per tutti. Eravamo nel 2002, a Sarajevo. C'erano i rappresentanti dei ministeri dell'Educazione di tutte le province, e studenti e genitori di entrambe le entità. Formammo otto gruppi di lavoro, mescolando i vari rappresentanti, per poi cominciare a discutere su «che cosa deve esserci in un buon programma scolastico? E qui tutti d'accordo sulla qualità da garantire, sul fatto che dovrebbe to esserci gli stessi programmi e le stesse opzioni, etc.. Un'ora dopo siamo passati alle proposte concrete, e tutti proposero che si creassero commissioni etnicamente miste. Questo per tre giorni di fila. L'ultimo giorno, in seduta plenaria e ancora mossi dallo spirito unitario, innalzavamo l'ennesimo coro su manuali e programmi comuni quando, all'improvviso, un rappresentante della RR chiese la parola. Non sono d'accordo! -disse - Tutto ciò non è conforme agli accordi di Dayton. Il nostro castello di carte crollò in un istante. Perché gli accordi di Dayton stabiliscono che sono le province a essere competenti per l'insegnamento: ed è proprio questo il nodo! La situazione è particolarmente grave per quanto riguarda la storia. Nei due ultimi decenni e soprattutto la guerra del 1992-1995 venivano affrontati in modo così fazioso che è stato deciso, nel 2003, di limitare i programmi di storia al 1974. È consentito parlare della seconda guerra mondiale, ma anche su questa i punti di vista divergono. Insomma, la sola epoca su cui tutti sono quasi d'accordo è il Medioevo!

D. Non vede una contraddizione tra gli accordi di Dayton che portano acqua al mu lino di chi vuole mantenere le divisioni, e il discorso dei Paesi occidentali che esorta a "unificare" il Paese?

R. Non necessariamente, poiché in questi accordi è chiaramente scritto che i tre popoli possono decidere di cambiare certi aspetti della Costituzione, qualora lo vogliano. E cioè essi potrebbero affidare la questione dell'insegnamento al go verno nazionale piuttosto che alle Entità e alle province. L'accordo del 1995 è abbastanza flessibile, e rappresenta solo una prima tappa verso la Bosnia futura. Niente è scolpito nella roccia, e la comunità internazionale invita i nostri politici ad andare avanti.

Nel giugno 2003 è stata approvata una legge-quadro sull'insegnamento nelle scuole primarie e secondarie, che prevede l'adozione di programmi unici, facilita la mobilità degli studenti e il riconoscimento dei diplomi. Ci vorrà del tempo per applicarla sull'intero territorio, innanzitutto perché tutte le province dovranno votare delle leggi attuative, e poi perché le tre comunità temono d'essere relegate al rango di minoranza. Però le pressioni internazionali cominciano a dare i loro frutti. Quattro anni fa avevo visitato una scuola elementare a Bugojno dove non solo gli studenti croati e bosgnacchi seguivano un insegnamento separato, ma nemmeno si incontravano mai, né a ricreazione né in mensa. La situazione sta gradualmente migliorando, anche grazie alla legge di cui ho parlato. In questa città, teatro d'aspri combattimenti tra croati e bosgnacchi, il Consiglio multietnico dei genitori degli studenti è molto attivo e le famiglie lavorano insieme per il progetto di ricostruzione della biblioteca municipale. Permangono però tensioni, alimentate dai nazionalisti delle due parti. Per l'inizio delle lezioni del 2004, tutte le famiglie degli studenti croati del villaggio di Novi Seher rifiutarono di mandare a scuola i propri figli per due mesi. Presso i croati, la paura di perdere lingua e identità è ancora assai forte.

Vorrei tornare sull'insegnamento della storia, che riveste un'enorme importanza nella formazione delle generazioni future. Occorrerà far sedere a uno stesso tavolo, un giorno, gli storici di tutta la ex Jugoslavia. In Bosnia sono state scritte migliaia di pagine sull'ultima guerra, per denunciare l'aggressione di cui è stato vittima il Paese. Gli storici croati parlano, invece, della loro "grande guerra patriottica, senza mai menzionare le responsabilità della Croazia in tutto questo caos. I serbi parlano di una guerra civile». Non saranno specialisti venuti da fuori ad aiutarci spetta invece ai nostri storici il compito di confrontarsi per provare a stabilire la verità. È questo spirito che dovrebbe prevalere commissione Verità e Riconciliazione che è stata formata in Bosnia con lo scopo di promuovere la pace facendo chiarezza sui crimini commessi. Però una tale commissione dovrebbe esistere in tutta la ex Jugoslavia: in mancanza di questo, non potremo mai giungere a una vera riconciliazione. Slovenia, Croazia, Bosnia e Kosovo: tutte queste guerre sono legate da un unico filo. La sete di giustizia e la ricerca di una durevole pace dovrebbero essere un obiettivo comune. Ma a tutt'oggi ognuno non vede che il suo popolo e vive ripiegato su se stesso.

D. I giovani con i quali quotidianamente lavora, come immaginano il proprio avveni re? Sperano che il Paese possa entrare nell'Unione europea?

R. Benché l'adesione all'Ue non sia dietro l'angolo e così non riescano a percepire questo orizzonte, i giovani sono coscienti che una solida preparazione e un eleva to livello di conoscenze apriranno loro le porte dell'Europa e del mondo. Sono a favore delle riforme: vogliono imparare, andare avanti, e di questo discutiamo spesso. Conoscevo un giovane che, prima della guerra, studiava presso l'Università di Banja Luka, in RS. Andato all'estero durante il conflitto, è rientrato in Bosnia ma nella Federazione perché, come molti altri profughi, non è riuscito a tornare da dove era fuggito. Desidera continuare gli studi a Sarajevo dove però, purtroppo, l'università non riconosce né il suo diploma di maturità né i suoi due anni post diploma. Tra le due Entità non c'è ancora alcuna equivalenza a livello di titoli di studio. In queste condizioni, come potranno "entrare in Europa" i nostri giovani? Lo stesso per gli insegnanti, il cui processo di formazione è diverso nelle due Entità, ma anche da città a città, a volte. Eccellono dei professori "locali" che però, fuori dalla loro città o dalla loro scuola, non valgono un bel nulla. Inoltre, nella scuola secondaria, l'8% dei docenti non ha alcuna qualifica, percentuale che sale al 17% nella primaria. Mancano moltissimi insegnanti di lingue straniere, di inglese e te desco in particolare. I migliori tra gli anglisti o sono andati all'estero o hanno pre ferito un mestiere meglio remunerato nelle organizzazioni internazionali. Quanto al francese, è quasi scomparso. In crescita è invece l'italiano. Nelle mie visite in università straniere sono stato favorevolmente colpito dalla vivacità che regna tra gli studenti nei corridoi e nei caffè, mentre fanno ricerche comuni su internet, curiosi di tutto, e discutono alla pari con gli insegnanti... E questa Europa della conoscenza e della moltiplicazione dei saperi che manca ai nostri ragazzi. Abbiamo molta strada da fare perché i nostri metodi di insegnamento sono un po' vecchiotti e spingono a ingoiare nozioni, piuttosto che a riflettere in modo creativo e collegando le varie discipline. Gli insegnanti da noi recitano stancamente il copione dei loro manuali, e gli studenti prendono appunti sotto dettatura.

Al tempo stesso, però, i giovani bosniaci delle due Entità partecipano a concorsi internazionali, a competizioni come le olimpiadi della matematica e della fisica, a concorsi musicali. E spesso risultano tra i primi. Nelle generazioni di questo dopoguerra vi sono giovani di grande talento e, se riuscissimo a migliorare la qualità dell'insegnamento, otterremmo risultati ancora più interessanti. Pensandoci bene, l'Irlanda solo trent'anni fa ha lanciato un grande progetto per la formazione e i suoi giovani, oggi, hanno un elevato livello di istruzione.

Inoltre, il nostro Paese è alle prese col problema della fuga dei cervelli. Il programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) ha condotto una ricerca su questo tema nel 2000 e nel 2003, a cui ho collaborato. Sui mille giovani delle due Entità che hanno risposto ai questionari, il 62% ha dichiarato di voler partire all'estero perché la Bosnia non offre prospettive per il futuro. Solo il 15% dei giovani che vive all'estero, invece, ha detto di essere disposto a tornare definitivamente in Bosnia, a condizione di avere un lavoro e un alloggio. Questi dati mi vengono confermati ogni volta che, in Svezia o negli Stati Uniti, incontro giovani del nostro Paese. La maggior parte di loro è interessata a visitare la Bosnia da turisti, ma non certo a tornarci per sempre. Non riescono a immaginarsi un futuro, nel loro Paese d'origine. Il settimanale Slobodna Bosna ha pubblicato tre ritratti di giovani tutti con ottime referenze di studio e lauree prese all'estero-un dottorato il primo, poliglotta il secondo e ingegnere il terzo. Giovani brillanti, ma che non trovano lavoro. E per ultimo, gli organismi internazionali e le ONG, molto presenti alla fine della guerra, hanno soppresso un buon numero di impieghi. Questa cosa è stata vissuta, qui da noi, con molta delusione. I giovani speravano di ricevere una formazione per poi poter continuare il lavoro. Certo, esistono associazioni locali, ma non creano lavoro perché non ne hanno i mezzi. Alcune rischiano di chiudere per mancanza di sovvenzioni, e il nostro governo non riesce ad aiutarle.

D. Gli orfani di guerra che la sua associazione ha aiutato saranno presto adulti. Quali progetti avete per il futuro?

R. Speravo che i giovani che hanno beneficiato del nostro aiuto prendessero il nostro posto e facessero vivere la nostra associazione, con idee nuove. Per il momento, però, non vedo nessuna iniziativa in questo senso. Abbiamo però ugualmente cominciato ad allargare il nostro raggio d'azione alla scuola e all'insegnamento in senso lato. Dal 2003, ad esempio, abbiamo messo in piedi degli atelier psico-creativi. Vi partecipano i bambini e i genitori, guidati da animatori e psicologi. Da noi, i ragazzi vanno a scuola mattino e pomeriggio, ma non esiste alcuna struttura che si occupi di loro fuori dall'ambiente scolastico: sono abbandonati a se stessi. I geni tori non hanno tempo oppure non riescono a farli partecipare a iniziative dove si prevista una quota d'iscrizione. Così abbiamo pensato di organizzare dei laboratori di ceramica e di scultura, di cui approfittiamo per aprire dibattiti tra i ragazzi, le famiglie e gli animatori. Un laboratorio, con gruppi che variano dalle 12 alle 20 persone, è stato dedicato alla psicologia, e ha ottenuto molto successo tra i genitori. C'è bisogno di forum di questo tipo. Spero, dopo averne organizzati a Sarajevo, di portare l'esperienza anche in altre località.

D. A proposito di iniziative per i giovani, cosa mi dice della scuola di musica aperta a Mostar?

R. Il centro venne fondato per iniziativa di Luciano Pavarotti. Oltre a una scuola di musica, vi sono atelier di pittura dove si svolgono incontri letterari. Si trova nella parte musulmana della città. In teoria è aperto a tutti, ma è poco frequentato dai giovani croati che hanno un loro centro culturale sull'altra riva delle Neretva Tutto è ancora difficile a Mostar. La città ha due reti d'elettricità, due compagnie telefoniche, due università... I giovani bosgnacchi e croati crescono da una parte e dall'altra di quella che era la linea del fronte, vicino a cui si trova un edificio significativo: il vecchio Liceo, la cui bella facciata ocra di stile neomoresco ricorda la Biblioteca nazionale di Sarajevo. Prima della guerra, era il Liceo di tutta la città. Oggi, con le tracce delle granate ancora ben visibili, è vuoto, e nessuno pensa di ristrutturarlo, anche se sarebbe positivo per tutte le comunità.

D. Dalla sua fondazione, l'associazione "L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina" ha lavorato a stretto contatto con varie organizzazioni umanitarie. Come giudica l'azione di queste ultime?

R. Non riuscirei a dare un giudizio generale sulla loro efficacia, ma posso dirle del lo straordinario appoggio ricevuto dalla nostra organizzazione. Ci hanno aiutato non solo Médecins du monde e la Croce Rossa tedesca, ma una miriade di piccole associazioni e di individui coraggiosi e pieni di energia, come il Forum per la demo crazia nei Balcani e Prométhée Bosnie. Ad Albertville un gruppo di atleti che aveva partecipato alle Olimpiadi del 1992 fondò Perché Sarajevo viva. In piena guerra l'associazione si recò a Mostar, Vitez, Sarajevo, Goražde, con materiale medico e vi dopo la fine della guerra, con materiale scolastico, attrezzature sportive, etc. Il suo dirigente, Henri-Georges Brun, è stato nominato umanista dell'anno dalla veri e, Lega internazionale degli umanisti. Jean-Claude Carreau, padre di uno dei caschi blu morto in Bosnia, si dedica agli orfani. Ci aiuta a finanziare gli studi dei nostri borsisti e ha aperto un centro di vacanze per giovani, La Terra dell'amicizia e della Pace, vicino Sarajevo, di cui è diventato cittadino onorario nel 1999. Se godiamo di tanta simpatia, è essenzialmente grazie all'Associazione Sarajevo, messa in piedi da Faik Dizdarević, che ci ha fatto conoscere in diverse città francesi. È straordinario il fatto che, mentre i governi di tutta l'Europa chiudevano gli occhi davanti al genocidio e alla distruzione, tanti cittadini si siano mobilitati per noi. In Spagna gli Insegnanti per la Bosnia e la polizia di Barcellona; in Italia l'Associazione Sprofondo, egli Studenti del mondo in Belgio. Inoltre La Viva, un coro assai particolare perché canta solo sul tema dei diritti dell'uomo, è divenuto membro della nostra associa zione e fa concerti tra la Bosnia e la Francia, aiutandoci a trovare nuovi sponsor per le nostre attività.

D. Secondo lei, quali sono stati i momenti più significativi di questi anni passati vicino ai ragazzi?

R. Il ricordo più forte è quello d'un viaggio fatto con i nostri ragazzi ad Auschwitz. L'iniziativa è stata presa da un avvocato italiano, Bortolo Brogliato, che l'aveva concepita per studenti di sei diversi Paesi. In totale eravamo 200. Siamo andati a piedi da Auschwitz a Birkenau, e ognuno aveva in mano una fiaccola accesa. La marcia si è svolta in un silenzio che potrei definire religioso. Nel cammino, le immagini delle migliaia di deportati che avevano fatto lo stesso nostro percorso scorrevano dentro di me: furono momenti intensi, perché il fatto di ripercorrere questa strada faceva vibrare qualcosa nel più profondo dell'anima. Poi, dopo aver lasciato le nostre fiaccole a Birkenau, siamo tornati ad Auschwitz. Avevo visto molti film e documentari, naturalmente, ma fu uno choc entrare nelle baracche, vedere quelle borse a migliaia, quei capelli... In nessun altro luogo ho vissuto un'esperienza simile. Credo che i ragazzi bosniaci più degli altri abbiano capito quale fosse il significato di tutto questo. E si commossero fino alle lacrime. Il nostro viaggio terminò ad Assisi e a Vicenza, per visitare altri luoghi della memoria dove erano stati perseguitati gli antifascisti italiani. La staffetta della pace-questo è il nome dell'iniziativa - si svolge ormai ogni anno.



---


Si può dare il proprio contributo per ricordare Jovan Divjak sostenendo l'associazione "L'educazione costruisce la Bosnia Erzegovina":
- tramite paypal su account buongiorno.bosnia@gmail.com
- tramite bonifico bancario sul conto corrente (Poste) intestato all’associazione Buongiorno Bosnia, IBAN: IT07Y0760102000001015785288

Indicando il proprio indirizzo mail al momento della donazione si riceveranno 4 vignette inedite con le barzellette di Suljo e Mujo che Jovan Divjak amava raccontare alla fine di ogni incontro con lui.